Come già accaduto in passato, ad ogni cambio di Governo si accompagnano interventi rivoluzionari in materia di lavoro.
Meritano menzione, per esempio, la legge Biagi 2023, la legge Fornero, i decreti delegati per Jobs ACT 2015, la Legge sul Reddito di cittadinanza e quota 100 del 2019.
La XIX legislatura si è fatta artefice di una corposa attività legislativa con decreti legge lunghi e dettagliati, convertiti dal Parlamento in leggi, dal testo ancora più appesantito nella specialità degli ambiti considerati e lunghezza. In realtà non si è proceduto con un intento di voler riformare o stravolgere il mondo del lavoro ma, attuando moltissime modifiche speciali, legate a singole categorie con “frammenti disordinati”. Ci si riferisce al Decreto Lavoro n 48/2023 e Decreto I.NPS. I.N.A.I.L. N 51/2023; entrambi avevano rispettivamente dei fini specifici, ovvero l’eliminazione del Reddito di cittadinanza (Rdc) ed il rinnovo in anticipo degli organi degli istituti previdenziali, ai quali si sono aggiunti norme di altro genere, molto specifiche e settoriali. In particolare, il decreto-legge n. 48/2023 ora convertito in legge (n 85/ 2023) è “omnibus” e cioè interviene su moltissime materie del tutte diverse e senza alcun nesso fra loro.
Una caratteristica del “Decreto lavoro” è la doppia anima.
C’è una prima parte sistematica e rigorosa (art. 1-13), la più delicata e criticabile, per introdurre l’«Assegno di inclusione» al posto del «Reddito di cittadinanza; dopo c’è di tutto (“omnibus”), con una tale accentuazione degli interventi per singole precise categorie da far pensare che le norme siano state emanate “a richiesta” delle singole categorie a seguito di pressione per l’adeguamento di normative non soddisfacenti.
Assegno di inclusione, contratto a termine, voucher.
La regolamentazione dell’assegno di inclusione artt 1-14, presenta fondamentalmente norme mutuate con modifiche dal Rd, ma la rottura su questo è netta e forte: i nuclei familiari con il reddito complessivo fino ad € 9.360 lordi l’anno non hanno alcun diritto, se di essi fanno parte persone con età fra 18 e 60 anni. Prima, con il «Reddito di cittadinanza», quel che unicamente importava era il reddito bassissimo sotto la soglia di povertà; ora, con l’Assegno di Inclusione, vengono tolti gli aiuti economici anche sotto la soglia di povertà o addirittura senza alcun reddito, se del nucleo familiare fa parte anche un solo componente con età da 18 a 60 anni. Il numero degli aventi diritto è ridotto ai minimi termini.
L’assegno di Inclusione resta limitato a casi marginali (inabili, minori, ultrasessantenni).
La modifica è oggettiva, chiara e senza incertezze. Sembra quasi un invito per i maggiorenni ad uscire dalla famiglia, anche se soli. Forse si presume che quei maggiorenni, che restano in famiglia fino a sessant’anni, “non abbiano voglia di lavorare”, o forse si presume che barino perché in verità lavorano ed hanno redditi più alti, quindi, che siano dei truffatori. I crimini però non possono essere presunti e tantomeno si può presumere che i poveri commettano crimini perché sono poveri. In sostanza si toglie il Rdc a chi aveva già maturato il diritto, eludendo il principio dei “ diritti quesiti”, e creando un malessere sociale. Quel che conta è il risparmio della spesa pubblica.
Grossi dubbi, soprattutto interpretativi, portano con sé le modifiche sul contratto a termine, non chiariti neanche con la conversione in legge. Il “Decreto lavoro” stabilisce i nuovi principi del contratto di lavoro a termine, che si fondano dopo molte modifiche su questi punti: 1) fino a dodici mesi per sommatoria (comprese le somministrazioni) il contratto è “acausale” , cioè senza bisogno di alcuna giustificazione; 2) il massimo di durata totale per sommatoria presso lo stesso datore di lavoro è di ventiquattro mesi; 3) le proroghe sono ammesse per un massimo di quattro volte nell’arco di ventiquattro mesi a prescindere dal numero dei contratti.
Il “Decreto lavoro” pone modifiche solo per i contratti che superano i 12 mesi fin dall’inizio o a seguito di rinnovi e proroghe eliminando il requisito della “specificità” delle ragioni e rinviando ai contratti collettivi di qualsiasi livello, stipulati con i sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale, o contratti collettivi aziendali stipulati dalle rappresentanze sindacali, ovvero dalla rappresentanza sindacale unitaria. (Di cui all’art. 51 del d. lgs n 81/2015).
Pertanto, secondo quanto disposto dal Decreto, tutto dipende dalla libera applicazione di un contratto collettivo, senza considerare la categoria/comparto o territorio; conta solo l’applicazione effettiva ed integrale di un contratto collettivo stipulato da associazioni sindacali più rappresentative, e non il recepimento di una sola clausola di esso.
Ma la novella presenta una problematica a causa delle parole, sintassi e grammatica, utilizzate nel testo legislativo, prevedendo che, in caso di mancanza di contratti collettivi applicati in azienda, sono ammessi contratti a termine oltre dodici mesi per esigenze di natura tecnica organizzativa o produttiva individuate dalle parti, sono possibili più significati, ovvero, o che sono ammessi contratti individuali, o che sono ammessi contratti collettivi con sindacati non-rappresentativi. Entrambe le interpretazioni sono molto delicate e pericolose, favorendo qualche arbitrio.
Infine, resta comprensibile la critica da parte dei partiti di opposizione secondo cui il contratto a termine causa precarietà, oltre ad essere oggettivamente non conveniente per le aziende che comunque devono affrontare un maggiore costo contributivo per contratti dai quali non è agevole recedere, perché vincolanti fino alla scadenza. Pur volendo considerare positivamente il contratto a termine, come un’occasione per il lavoratore di farsi conoscere ed apprezzare, è innegabile che, per come è strutturata la norma, si deduca che dopo dodici mesi il lavoro a termine diventi precariato e dopo ventiquattro diventi impossibile.
La diffidenza da parte dello schieramento politico all’opposizione nei confronti del contratto a termine, ritenuto uno strumento deprecabile deriva dalla considerazione che quando si sceglie di prolungarne i termini anche nell’ambito della contrattazione tra le parti, si rendono le lavoratrici ed i lavoratori più ricattabili, in quanto le parti in gioco non hanno lo stesso potere.
Il decreto Lavoro attua anche un’estensione dei contratti per prestazioni occasionali, con pagamento attraverso voucher; ridisciplina l’istituto per i settori dei congressi, eventi, fiere e stabilimenti balneari, elevando il limite dei compensi. Ma anche questa misura è vista da più parti colma di criticità, poiché è ritenuta un incentivo alla povertà ed alla precarietà, nonostante rappresenti un antidoto, seppur blando, contro il lavoro nero.
Decreti n 51/2023, materie essenziali fra materie di secondaria importanza
Di pari passo con il Decreto Lavoro, è stato emanato il D.L. 51/2023, per regolamentare gli organi centrali del lavoro, ma che poi, con la legge di conversione, è diventato un contenitore di norme per vari ambiti.
Prevede la cessazione anticipata degli organi INPS ed INAIL con commissariamento, ma ha norme anche per la filatelia, per la sovraintendenza nelle Fondazioni lirico- sinfoniche, lo sport, gli asili nido, lo status di rifugiato.